Prenditi cura del gatto

Prenditi cura del gatto.

Ron scosse la testa e si accese l’ennesima sigaretta. Prenditi cura del gatto. Non poteva credere che la lettera terminasse con quella frase, era troppo assurdo. Non che il resto della missiva fosse più sensato. Chi era questo Juan? Da dove era saltato fuori? E perché Mariangela aveva deciso all’improvviso di andare a vivere a Cuba con lui? Domande legittime, destinate a non ricevere una risposta da quelle poche righe sgrammaticate vergate con inchiostro blu elettrico. In mezzo a tanti dubbi vi erano poche certezze: Mariangela non era più la sua fidanzata, lui tornava ad essere l’unico abitante dell’appartamento e il gatto restava a fargli compagnia.

«Come se fossi stato io a volerlo», borbottò a denti stretti. Cercò con lo sguardo il suo nuovo inquilino a quattro zampe e lo trovò disteso sul tappeto a sonnecchiare. Trovò alquanto scorretta quella mancanza di interesse in un momento così delicato. «Mostra un po’ di rispetto per il tuo padrone, pulcioso».

Ron, il cui nome completo era Ronaldo a causa di due genitori troppo fissati con il calcio, non era mai stato un grande amante degli animali e non era stata sua l’idea di portare il gatto in casa. Tre giorni prima, Mariangela era tornata a casa con quella palla di pelo tra le braccia e con voce da bambina dell’asilo aveva spiegato di aver trovato il povero puffolino sul ciglio di una strada e di aver subito intuito che qualcuno doveva averlo abbandonato. Essendo una buona samaritana aveva preso la decisione di adottare (sì, aveva detto proprio adottare) il quadrupede e di farlo vivere nell’appartamento del suo amato Ronnie. Ron si era giustamente arrabbiato: non tanto per l’odiato nomignolo Ronnie, quanto per la sfacciataggine con cui Mariangela aveva preso una simile decisione senza prima consultarsi con lui. Anche se, col senno di poi, era difficile aspettarsi di più da una in grado di andarsene a Cuba con Juan da un giorno all’altro. Dopo essere tornata a casa col gatto, la giovane donna era rimasta un’ora intera a coccolarlo e a parargli con una vocetta da bambina speciale; dopodiché era uscita a fare compere con le amiche (o più probabilmente con Juan) dimenticandosi di dare da mangiare all’animale, di consultare un veterinario su argomenti delicati come le vaccinazioni o possibili malattie e di acquistare una cuccia, del cibo e accessori vari. Si era persino dimenticata di scegliere un nome, a meno che si trattasse di uno a caso tra “Puffolino”, “Batuffolo” o “Baffettini”. A malincuore, era stato Ron a recuperare tutto il necessario per il gatto, premurandosi persino di portare quest’ultimo dal veterinario. Alla domanda “come si chiama il suo animale domestico?” aveva risposto col primo nome che gli era venuto in mente: Cheshire. A suo parere non era neanche un brutto nome: era originale, diverso dai soliti nomi stupidi da gatto e tributo ad un grande capolavoro della letteratura inglese.

E mentre io mi sbattevo per questo animale che non ho mai voluto, Juan si sbatteva la mia ragazza. Quel pensiero indusse Ron ad accartocciare la lettera e a gettarla con foga in direzione di Cheshire. La pallina di carta colpì in pieno il gatto e lo svegliò. Gli occhi verdi del felino si posarono sul proprietario e lo fissarono con fare accusatorio. Per tutta risposta Ron fece un gesto eloquente con la mano destra. Poco dopo Cheshire tornò a sonnecchiare e Ron poté riprendere ad insultare mentalmente Mariangela. Una parte di lui non era nemmeno troppo stupita per quello che era successo; del resto come ci si può fidare di una ragazza frivola, ossessionata dai pettegolezzi e convinta che Baudelaire sia un famoso centrocampista francese? Si disse che avrebbe dovuto lasciarla al quattordicesimo amoruccio, al trentaseiesimo Ronnie o al novantesimo Trottolino Amoroso. Sì, li aveva contati e sì, aveva odiato ognuno di essi con ogni fibra del suo animo. Ma nonostante questi difetti l’aveva amata e si era convinto che lei condividesse il sentimento. Si era sbagliato di grosso e la lettera lo confermava in modo inconfutabile. Nessuna spiegazione, nessuna scusa degna di nota, nessuna conclusione in grado di fargli provare un po’ di conforto. Prenditi cura del gatto. Quelle quattro parole lo avrebbero ossessionato fino alla tomba, ne era certo. Forse un giorno, in un futuro lontano, avrebbe ripensato a quella situazione assurda e ne avrebbe riso di gusto, tuttavia nel presente le uniche risate erano piene di amarezza e la sua mente era ottenebrata da un misto di rabbia e di tristezza. Passò il resto della giornata disteso sul divano a fumare una sigaretta dopo l’altra e a pensare. Prima di sera lesse la lettera altre tre volte, pentendosi amaramente al termine di ogni lettura. Cheshire non cercò in alcun modo di confortarlo e si limitò a dormire sul tappetto per tutto il giorno, cambiando posizione di tanto in tanto e svegliandosi solo per guardarsi attorno ogni tanto con aria sospettosa. Rispetto ad altri gatti era molto tranquillo e silenzioso. Non era nemmeno troppo affettuoso visto che non faceva mai le fusa e schivava agilmente ogni tentativo di coccolarlo. Ron faticava a capire come mai Mariangela fosse rimasta colpita da un gatto così poco amichevole, lei che andava matta per i cani coccolosi, per le fusa e per tutte le altre carinerie di cui Ron non subiva il fascino. Scrollò le spalle e si disse che in fondo non aveva importanza: se proprio doveva avere un animale domestico, uno tranquillo era preferibile ad un combina guai.

Quando le lancette dell’orologio si posarono sulle sette di sera, un invitante odore di pesce invase l’appartamento. Pur essendo ancora sconvolto per la rottura improvvisa con Mariangela, Ron non se la sentiva di patire la fame ed aveva deciso di cucinare uno dei suoi piatti preferiti per tirarsi un po’ su di morale. Non era un mago ai fornelli, tuttavia aveva imparato alcune ricette seguendo un programma di cucina e ogni tanto non gli dispiaceva provarne qualcuna. Di certo i suoi piatti non sarebbero mai stati all’altezza di quelli che era in grado di preparare Mariangela, non per niente figlia di un noto chef, ma almeno non sarebbe mai morto di fame. L’odore della spigola destò Cheshire dal suo lungo sonno e ben presto il felino fece il suo ingresso in cucina con la coda dritta e lo sguardo attento.

«Non è per te questo pesce», mise subito in chiaro Ron. «Se hai fame dillo e provvederò a darti una delle tue scatolette dall’odore atroce». Naturalmente Cheshire non era in grado di parlare, eppure i suoi rari miagolii erano in grado di comunicare molto. Ron aveva notato che quando aveva fame il gatto emetteva un singolo miagolio, ripetuto dopo tre minuti esatti solo se nessuno aveva già provveduto a nutrirlo. Quando voleva uscire dalla finestra o dalla porta non miagolava, si limitava ad avvicinarsi ad una delle uscite e a toccarla tre volte con una zampa. Era molto probabile che il precedente proprietario lo avesse addestrato, visto che Ron dubitava che i gatti si comportassero in modo così preciso senza precedenti condizionamenti. Anche se trovava strani quegli atteggiamenti, doveva ammettere che la loro utilità era notevole: essendo così chiari era impossibile interpretarli in modo errato. Quando, non molti minuti dopo, Cheshire si decise ad emettere un miagolio, Ron si affrettò a riempire una ciotola con il cibo per gatti al gusto di pesce bianco e verdurine. «Tieni», disse mentre appoggiava il tutto a terra. «Che non mi vengano a dire che non mi prendo cura di te».

Dopo aver sparecchiato e lavato le poche stoviglie utilizzate, Ron decise di sdraiarsi sul divano e di distrarsi un po’ guardando la televisione. Aveva bisogno di concentrarsi su qualcosa che non fosse la stramaledetta lettera, Mariangela, Juan o Cheshire. Una parte del suo io considerava la televisione una tossina, nonché un danno enorme alla letteratura, ma in quel momento quel veleno sembrava meno letale di quello che aveva infettato la sua mente per tutto il pomeriggio. Fece zapping per svariati minuti, indeciso su che cosa guardare e poco interessato alla maggior parte dei programmi proposti dalle varie emittenti. Alla fine decise di lasciare l’apparecchio sintonizzato su un canale a tema musicale che quella sera dedicava un’ampia porzione della propria programmazione ai successi degli anni sessanta, annata di cui Ron era un appassionato. Quando udì le prime note del brano “Yesterday” dei Beatles, non poté fare a meno di pensare che mai come in quel momento il testo di una canzone rispecchiava il suo stato d’animo. Provò l’impulso di cambiare canale, poco incline ad associare una delle sue canzoni preferite al ricordo di Mariangela, però la voce di Paul McCartney, così intensa ed evocativa, lo stregò per l’ennesima volta, costringendolo ad ascoltare il brano fino alla fine.

Yesterday love was such an easy game to play
Now I need a place to hide away
Oh, I believe in yesterday.

Prima che potesse rendersene conto le sue lacrime iniziarono a macchiare il divano in pelle, come tante piccole gocce di pioggia. Si era ripromesso di essere forte e di non versare una singola lacrima, eppure le emozioni di rado si adeguano alla nostra volontà. Il pianto non durò comunque a lungo; dopo cinque minuti si stava godendo una canzone dei Rolling Stones ben più allegra di “Yesterday”, concedendosi addirittura di canticchiare i pochi pezzi del testo che si ricordava. La musica, sua grande amica e protettrice da quando aveva memoria, lo aiutò a distrarsi e a dimenticarsi per un po’ delle sue sfortune. Non poté fare a meno di chiedersi quante canzoni sarebbero state necessarie per scacciare del tutto la sofferenza. Ad un certo punto Cheshire, che era rimasto silenzioso per tutta la serata, emise due miagolii a breve distanza l’uno dall’altro. Ron era certo di non averlo mai udito emettere più di un miagolio alla volta e capì subito che stavolta si trattava di qualcosa di differente da una richiesta di cibo. Sollevò lo sguardo e trasalì, del tutto impreparato allo spettacolo che si palesò dinnanzi al suo sguardo. Il pelo di Cheshire, che di solito era arancione chiaro, era, per qualche ragione inspiegabile, diventato rosso come il fuoco. Quel colore era del tutto innaturale per il pelo di un gatto e non era necessario essere un esperto per rendersene conto.

«Ma che diavolo…?!»

Cheshire sembrava fissarlo con uno sguardo più attento del solito, come se attendesse una qualche reazione da parte sua. Incerto sul da farsi, Ron rimase in attesa di un qualsiasi segnale. Non dovette attendere molto: all’improvviso l’urlo di un uomo squarciò la quiete della notte come un folle pittore che si avventa con rabbia sulla propria tela. A giudicare dalla vicinanza dell’urlo, Ron dedusse che doveva provenire dall’appartamento del suo vicino di pianerottolo, il signor Noci. Pur essendo paralizzato dallo stupore, cercò comunque di pensare in fretta a cosa fare. Il piano di sotto era disabitato e quello sotto ancora era abitato da due famiglie che andavano molto d’accordo e uscivano spesso assieme alla sera, anche durante la settimana; il rischio che nessuno oltre a lui avesse udito l’urlo non era certo da escludere. Prima di chiamare la polizia o un’ambulanza doveva accertarsi che si trattasse di una vera emergenza: forse il signor Noci era solo inciampato o qualcosa del genere. Sperava che quella ipotesi fosse vera, ma in fondo non ci credeva nemmeno lui: un urlo così disperato poteva solo indicare grossi guai. Sentendosi al tempo stesso confuso, impaurito e, per qualche strana ragione, euforico, Ron si alzò di scatto dal divano. Cheshire reagì immediatamente al suo gesto, avvicinandosi con agilità alla porta e toccandola più volte con la zampa. Con mano tremante, Ron spalancò la porta e si trovò faccia a faccia con uno sconosciuto dal volto mascherato. In una mano stringeva un sacco nero gonfio di oggetti, nell’altra stringeva una finta riproduzione della statuetta degli oscar. È un ladro!

Osservando con più attenzione la statuetta, Ron vide che era sporca di sangue. Ed è pure un assassino! Il malvivente cercò di sgattaiolare via, ma Cheshire si aggrappò come una furia alla sua gamba e scavò nella carne con le unghie affilate. La rabbia del gatto era tanto evidente quanto silenziosa: mai una volta il felino soffiò o emise altri versi. Al contrario il ladro reagì all’assalto con un urlo di dolore e cercò di liberarsi di Cheshire calciando con frenesia. Ormai del tutto dimentico della paura, Ron decise di far valere gli anni di sport che aveva praticato e si avventò sullo sconosciuto, facendolo cadere a terra. Con una gamba sanguinante e con un uomo di circa ottanta chili addosso, il ladro non aveva molte possibilità di fuggire. Decise comunque di provare a colpire Ron con la statuetta, solo per vedere il suo colpo parato senza difficoltà. L’ultima cosa che il malvivente vide prima di perdere i sensi fu un pugno a pochi centimetri dal suo volto.

Quando vide il suo avversario chiudere gli occhi, Ron si concesse un sorriso di trionfo. Anche se erano ormai passati quattro anni da quando aveva smesso di lottare in un ring, i suoi colpi continuavano ad essere precisi ed efficaci. Cheshire smise di graffiare la gamba del criminale e si avvicinò al suo padrone. Per qualche strano motivo fece le fusa e si lasciò accarezzare un paio di volte, prima di sottrarsi al tocco e di avvicinarsi all’appartamento del signor Noci. L’incontro col ladro aveva momentaneamente fatto passare in secondo piano l’urlo del vicino e solo in quel momento Ron si chiese se fosse ancora vivo.

Nell’appartamento di Alberto Noci vi era un gran disordine e molti oggetti differenti erano sparsi sul pavimento, perlopiù cianfrusaglia priva di valore. Gli scaffali erano semivuoti e quel che mancava o era caduto o era nel sacco del ladro. Sul pavimento, il signor Noci era sdraiato supino e perdeva sangue da una ferita sul cranio. Ron sentì il suo battito cardiaco e si tranquillizzò quando capì che era ancora vivo. Si affrettò ad usare il suo cellulare per contattare la polizia e l’ospedale. Tornò poi sul pianerottolo, dove il ladro giaceva a terra, ancora privo di sensi. Si sedette accanto a lui e si accese una sigaretta. Quel giorno aveva fumato molto, ma non poteva farci nulla: quando era nervoso o emotivamente scosso le sigarette lo aiutavano sempre a calmarsi e quel giorno il suo giro sull’altalena delle emozioni era stato più lungo e vario del solito. Cheshire si accoccolò tra le sue gambe e fece le fusa per un po’. Il suo pelo era tornato del solito colore e forse significava che il pericolo era passato.

Un gatto che cambia colore in presenza di un criminale? Se non lo avessi visto con i miei occhi non ci crederei.

Cheshire era un vero e proprio mistero. Di certo non era un comune gatto e nel suo passato doveva pur esserci qualcosa in grado di spiegare le sue caratteristiche particolari. Non era però quello il momento adatto per pensarci, si disse Ron. Di fronte a se aveva molto tempo per comprendere meglio Cheshire e per fare luce sul suo passato. Perché sì, nonostante tutto, aveva deciso di prendersi cura del gatto, proprio come aveva suggerito Mariangela. La prima volta che aveva letto l’ultima frase della lettera aveva pensato di ignorare quella richiesta e di portare il prima possibile Cheshire in un rifugio per animali o in qualche luogo simile. Liberarsi di lui, come di qualsiasi altra cosa in grado di farlo pensare alla sua ex, era sembrata inizialmente la cosa migliore da fare. Ma ora tutto era cambiato. Cheshire non rappresentava più un passato da dimenticare, ma un nuovo capitolo tutto da scrivere e da scoprire passo dopo passo.

Cheshire non ha mai fatto le fusa di fronte a lei e non ha mai cambiato colore in sua presenza. Lui ha scelto me. Non so perché lo abbia fatto o che cosa si aspetti da me, so solo che sono curioso di scoprirlo. Prenditi cura del gatto…Bè, alla fine penso proprio che lo farò. I gatti normali non mi piacciono, ma come si può non adorare una palla di pelo che funziona meglio di qualsiasi antifurto o dei salvavita della Beghelli? Perlomeno a qualcosa sei servita, cara mia ex.

Drabble # 1 – L’invasione pelosa

Nella rubrica “Drabble” inserirò dei micro racconti la cui lunghezza oscillerà tra le 90 e le 100 parole. In questo primo appuntamento con la rubrica vi propongono una simpatica storiella basata su una foto che ho trovato su internet.

La foto in questione è questa:

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L’ho trovata sulla pagina Facebook di Prinz Marcus von Anhalt

Ecco la storia che mi è venuta in mente non appena l’ho vista

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Racconti “brevi” # 1 – A chi appartiene questo sogno?

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Benvenuti nel blog “I racconti di Rowelence”. Sono Alessandro e non ho voglia di scrivere un lungo post introduttivo, dunque mi limito a dirvi che in questo blog troverete dei racconti scritti da me e mai pubblicati altrove. Non mi limiterò ad un solo genere e quindi di volta in volta potrete leggere dei racconti piuttosto diversi l’uno dell’altro per tematiche, ambientazioni ecc. Non farò promesse del tipo “usciranno due racconti al mese” o simili, perché tutto dipenderà dal mio tempo libero e dalla lunghezza dei racconti. Alcuni saranno abbastanza lunghetti e verranno inseriti nella rubrica Racconti “brevi” (quanto sono beffarde quelle virgolette!). Il racconto di oggi, “A chi appartiene questo sogno?” rientra proprio in questa rubrica. Come si può intuire dal titolo, il tema portante del racconto sarà il rapporto tra i sogni e la realtà, ma non sarà l’unico ad essere affrontato. Vi auguro una buona lettura!

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